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UN BELL'ARTICOLO E UNA BELLA NUOVA INTERVISTA A MARTA L. MANDELLI
Intervento critico (di Francesco Sperelli)
La forza di un artista (qualunque sia il genere di arte che esso pratica, dalla scrittura, alla pittura, all’architettura, al design) sta certamente nella capacità di assimilare una tradizione e di innovarla senza che il fruitore del prodotto se ne accorga. Talvolta neppure l’artista è cosciente di tale operazione alchemica; tanto che i migliori frutti sbocciano sempre lontano dal controllo della coscienza, seguono altre strade, sul filo di un istinto più universale che personale.
è questo il caso de L’orizzonte delle Dimensioni, secondo capitolo della saga di Oltremondo. Dopo un fortunatissimo primo volume intitolato Petali di rosa e fili di ragnatela, l’autrice Marta Leandra Mandelli traccia per noi un romanzo fatto apposta per essere letto, dalla trama lunga, ricca, corposa, e nel quale troviamo tutto ciò che vorremmo in un buon libro fantastico. Per usare un’espressione cara alla Mandelli: un libro da leggere “a mente leggera”, magari sotto l’ombrellone o davanti al caminetto acceso, o prima di addormentarsi dopo una lunga giornata di lavoro, senza particolari aspettative “filosofiche” o “intellettuali”. Certo! L’orizzonte delle Dimensioni è anche questo: un prodotto d’intrattenimento, costruito per permettere a coloro che si sentono imprigionati nella cosiddetta “vita reale” una temporanea evasione, una boccata d’ossigeno magico.
Tuttavia, se ci fermassimo qui, penso, faremmo un torto gravissimo a tutti: all’autrice, all’editore e al pubblico che avrà la fortuna di leggere questo volume. L’orizzonte delle Dimensioni, senza averne l’aria, è un caso più complicato e originale di quanto sembri. è vero: esso è imparentato con molta letteratura fantastica contemporanea; si avvale di una trama che potremmo anche definire “classica”; mette in campo creature e personaggi dai forti richiami simbolici che ci sembra di aver già conosciuto (anche se non sapremmo esattamente “dove”!)...
Ma tanto per cominciare, basta grattare la superficie e già scopriamo di non trovarci di fronte a un normale romanzo fantasy. Il libro della Mandelli è una sorta di ambizioso crossover, in cui fantasy, fantascienza, horror e romance si fondono con naturalezza ispirata. L’istinto (un potente istinto narrativo) guida l’autrice dritta al bersaglio, con infallibilità sovrumana. Così la sincerità, la genuinità letteraria di Marta Leandra Mandelli, riescono a infondere vita a tutti i cliché, a renderli “nuovi”. Ed è una vera festa per il lettore, che si trova consolato dall’ovvio e perennemente stupito dal nuovo.
Ho citato per primo il grande punto di forza del presente libro, perché tutto il resto è il riflesso di questo principio. Colui che ne affronterà le seicentoquaranta e passa pagine avrà modo di rendersene conto. Così la storia è ambientata a Milano, ma si tratta di una Milano che non offre certezze: anche quando crediamo che l’azione sia collocata nella metropoli a noi nota, l’autrice ci spiazza introducendo degli elementi estranei all’esperienza comune, producendo una sorta di vertigine onirica. Milano non è più solo Milano; è anche il luogo dove tutte le possibilità si realizzano. In questa specie di “multiverso” moorckokiano, fatto di infiniti universi contigui, Milano è talvolta una città futuristica, votata alla tecnocrazia, tal’altra un deserto post-atomico, o ancora un cumulo di macerie abitato soltanto da angeli e diavoli o, infine, un mondo magico, simil-medievale, dove impavidi custodi dell’universo vivono all’insaputa di tutti.
Non mi prenderò la briga di riassumere la trama de L’orizzonte delle Dimensioni: rischierei di togliervi il gusto della sorpresa e potrei addirittura banalizzare questo libro tutt’altro che banale. Mi sembra più giusto, invece, trasmettervi due concetti che gettano una luce sull’esperienza di questa lettura. Una cosa importante l’ho detta: la capacità di vivificare gli stereotipi di molti generi e di fonderli abilmente in una visione completa, onnicomprensiva (ogni libro dev’essere un microcosmo: questo è il tratto distintivo dell’opera d’arte vera). Resta da parlare dell’aspetto “morale” o, se preferite, “umano” del romanzo.
L’universo “mandelliano” è fatto, in realtà, di universi paralleli, ognuno dotato di proprie leggi fisiche, di un proprio “respiro” cronologico, etc. Ma una cosa accomuna tutti gli universi di questa sant’honoré cosmica: essi sono ostili, pericolosi, angosciosi e angosciati, cinici, violenti, accumunati da una sorta di pessimismo esistenziale che lascia poche speranze ai protagonisti e al lettore. Eppure non sembra tanto un pessimismo costitutivo dell’autrice; si tratta piuttosto di un pessimismo “funzionale”, che serve, semmai, a mettere in risalto ciò che davvero sta a cuore a Marta Leandra Mandelli: l’amicizia, il senso di solidarità, la gentilezza, l’amore, la passione, il senso della bellezza e del meraviglioso.
Ed è proprio in questa seconda peculiarità che si rivela di nuovo e maggiormente la scrittrice di razza, che sa toccare le corde del cuore umano. Essa ci dice: non importa quanto duro sia il mondo, quanto sia pervaso di oscurità, di orrore! Finché il cerchio magico dell’amicizia e l’anello di fuoco della passione ci proteggono, noi possiamo essere felici.
Un messaggio antico come l’uomo stesso, ma detto con una grazia, un’innocenza e una forza del tutto nuove.
Intervista (di Giorgio Prandelli)
So che non ami parlare di te, della tua vita privata... Almeno non in maniera diretta! Però devo ammettere che leggendo questo secondo capitolo della saga di Oltremondo, L'orizzonte delle Dimensioni, si ha la netta sensazione che la tua vita privata, in qualche modo, si veda in trasparenza fra le righe. E' vero? E se sì: quanto e in che misura?
Direi che è vero in parte. Siobhan è un mio alterego fantasioso, mi assomiglia per molti aspetti. Anche gli eredi e i personaggi cardine hanno alcuni tratti del mio carattere, come se inconsapevolmente per forgiarli avessi donato loro alcune sfumature che mi sono familiari, in modo da renderli il più possibile veri, autentici. Così come è stato per Petali di rosa e fili di ragnatela, anche L’orizzonte delle Dimensioni è il frutto della mia sensibilità, gusto letterario e, non ultimo, del mio vissuto, il tutto rivisitato in chiave fantasy. Potrei definirlo una storia inventata ma molto simbolica, del resto il genere a cui appartiene è ricco di simboli, archetipi e allegorie.
Il romanzo è ambientato a Milano. Non nella Milano che conosciamo, ma in cinque diverse Milano “possibili”, esistenti nella finzione in altrettante diverse dimensioni. Perché questa scelta? Qual è il legame che ti spinge a trasfigurare la tua città in senso mitico e onirico (se non addirittura allegorico)?
Ho scelto di ambientare la storia a Milano per rendere un piccolo omaggio alla mia città, a cui sono molto legata. Partendo con Petali di rosa e fili di ragnatela, mi sono divertita a immaginare in quanti e quali modi diversi potrebbe essere. Con questo secondo capitolo della saga, ho cercato di portare avanti il concetto di una città a metà tra realtà e fantasia, che avesse regole proprie e distinte, staccandosi di volta in volta dalle Milano degli altri mondi. Mi è piaciuto molto chiudere gli occhi e immaginare di uscire di casa, ritrovandomi in una realtà lontana dalla quotidianità.
Nell'immaginario collettivo Milano resta la città aggressiva, straniante, disumana per eccellenza: un luogo dove non c'è molto spazio per la cordialità e i rapporti sociali genuini. E in parte sembra che questo stereotipo permeiL'orizzonte delle Dimensioni: ogni versione fantastica che ci offri di Milano sembra un luogo poco piacevole in cui vivere (anche se resta evocativa e affascinante). Si tratta di un'ambivalenza “voluta”? Oppure esistono delle ragioni narrative che ti spingono a dipingere la “metropoli” meneghina a tinte così fosche? Qual è il messaggio celato dietro la tua costruzione fantastica?
Queste versioni di Milano cozzano con la città descritta in Petali di rosa e fili di ragnatela: si passa dall'idillio pagato a caro prezzo a mondi decisamente più spietati, anche se per ragioni diverse. Il motivo che mi ha portato a questa scelta è sicuramente l'esigenza narrativa. Infatti, la seconda parte del romanzo, intitolata Viaggi, è una sorta di banco di prova per Siobhan e gli eredi, che li chiama a fare uso di ciò che hanno appreso su loro stessi e sulla magia. Se in Petali di rosa e fili di ragnatela il tema centrale era l'iniziazione, ne L'orizzonte delle Dimensioni è il confronto: varcare il Portale e trovarsi in mondi ostili rientra in quest'ottica. Ogni Milano è studiata apposta per il personaggio che la esplora, mettendolo davanti a difficoltà che all'inizio sembrano insormontabili, ma che lo pungolano a sublimare il carattere e la propria arte magica.
Personalmente, non trovo Milano una città disumana o straniante e mi dispiace che molti la considerino tale. Anzi, se la paragoniamo alle metropoli estere, ai centri finanziari o più in generale produttivo- lavorativi, ne risulta un "grosso paese", nemmeno molto frenetico. La disumanità è qualcosa di molto umano, è in ognuno di noi e, a mio avviso, è troppo comodo addossarla all'ambiente o alla società di cui facciamo parte. Nella saga di Oltremondo c'è molta disumanità, contrapposta ad altrettanta sensibilità, empatia e consapevolezza. Per esempio, come avrete sicuramente capito la tematica ambientale mi è molto cara e si riflette in molti passaggi. La mia speranza per un futuro in cui noi uomini, razza principe del pianeta, abbandoniamo la smania di potere (incarnata in Mareck) in favore di una presa di coscienza globale traspare in diverse vicende. Così Siobhan è la Prescelta ma anche la guardiana della Vita; Tyler si impegna in prima persona nella lotta all'inquinamento e alcune versioni di Milano propongono scenari post apocalittici causati dalle scelte degli uomini. Non ho iniziato a scrivere per veicolare un messaggio, ma reputo inevitabile che, in un modo o nell'altro, esso trapeli. Così come la creatività, anche le nostre idee fanno parte di noi e l'espressione artistica è espressione del nostro universo interiore.
L'atmosfera che si respira in L'orizzonte delle Dimensioni è in qualche modo diversa, rispetto a quella di Petali di rosa e fili di ragnatela. Cos'è cambiato nel tuo modo di scrivere e di “sentire” rispetto al primo romanzo della serie?
Come scrittrice mi sono resa conto che più immagino e meglio riesco a raccontare. E’ strano, ma all’inizio la mia parte logica mi “sgridava” in un certo senso, bacchettando la mia fantasia. Una parte di me diceva che assolutamente non era possibile la tal cosa, oppure la tal altra era da matti e così via. Be’, sto cercando di metterle un bavaglio e di immergermi nelle idee, tentando di provare in prima persona come potrei sentirmi in un determinato luogo. Da qui vengono le descrizioni della magia e dei luoghi, che in questo secondo romanzo non sono solo questioni visive come era nel primo, ma hanno anche connotazioni sensoriali, accordandosi all’evoluzione psicologica dei personaggi. La vista è il nostro primo senso, ma dato che i personaggi sono molto più sviluppati ed evoluti, riescono ad arricchirla di percezioni, anche sovrannaturali. Inoltre, essendo il confronto il tema principale della storia, alcuni cambiamenti sono doverosi. La spensieratezza della prima parte di Petali di rosa e fili di ragnatela è svanita, a volte ricordata con nostalgia, in favore di una consapevolezza e maturità che, per forza di cose, a volte è amara. Il confronto tra ciò che si è appreso e ciò che si è chiamati a fare sprona Siobhan e gli eredi all’eroismo più puro e sentito, nonché alla speranza di un futuro armonioso. L’orizzonte delle Dimensioni è permeato dal desiderio di un’inversione di rotta e di rinascita.
Secondo me uno dei punti di forza de L'orizzonte delle Dimensioni è la potenza e la verità (forse anche l'umanità) con cui riesci a rendere la passione, l'amore, la schermaglia fra i sessi. Quanta parte hanno nel romanzo queste situazioni? Che valore attribuisci a tali rappresentazioni nell'economia della narrazione?
Oltremondo è anche una storia di legami, profondi e viscerali che sopravvivono al tempo e allo spazio. L’amore è una delle tematiche principali e, secondo me, in ogni romanzo dovrebbe esserci una dimensione affettiva. Anche se siamo nell’ambito del fantastico, i personaggi sono costruiti come se fossero persone vere: l’affettività è quindi imprescindibile. Inoltre, non credo che personaggi immuni dall’attrazione fisica siano realistici.
Nell’economia della narrazione, questi aspetti sono molto importanti: l’amore è un motore, spinge all’azione per essere ricambiato e accende una vera e propria miccia dentro di noi. In nome dell’amore vengono prese decisioni che cambiano il corso della vita, o in questo caso della storia. Amore, ma anche amicizia, a volte addirittura impossibile, come quella che lega un ragazzo a un puma o una rockstar a una nottola.
Un'osservazione sul personaggio di Tyler: le parti in cui appare sono forse le più riuscite a livello stilistico dell'intero romanzo, come se in esse tu avessi trasfuso tutto il tuo amore per il senso del meraviglioso che si sprigiona dalla contemplazione della natura. Eppure Tyler è una rockstar, un tipo da cui tutto ci si aspetterebbe, tranne un atteggiamento contemplativo; anzi, l'attrazione che egli prova nei confronti della contemplazione appare spesso in contrasto con il suo stile di vita “rock”, tutto fatto di eccessi e infantilismi. Tyler si rivela perciò un personaggio complesso e pieno di sfumature e spunti interessanti... Ma a chi ti sei ispirata per crearlo?
Adoro Tyler, è perfetto nella sua imperfezione. Eroico senza saperlo, non si tira indietro nemmeno quando rischia la vita. Complesso, poliedrico e contradditorio, ho vissuto con lui ogni visione e stramberia. Lo si potrebbe definire una specie di “buffone” alla maniera di Shakespeare, un depositario della verità che agli occhi degli altri sembra folle. Tyler ha una sensibilità fine e molto particolare, anche a livello intellettivo: ne è consapevole ma ne prova paura. Ha in sé la paura dell’ignoto ma la determinazione alla giusta azione; la paura di essere diverso in un mondo che lo vuole per come appare, ma persiste nel ritagliarsi i suoi momenti di evasione e verità. Per ultimo, ma non meno importante, incarna una mia grande speranza per il futuro: che coloro che hanno i mezzi (sia economici che relazionali) si adoperino per cambiare in meglio le cose.
Tyler nasce dalle fantasie che nutro riguardo al mio cantante preferito, in un certo senso la sua musica e la sua espressività mi hanno guidata nella creazione di un personaggio che amo. Ancora una volta, devo ringraziare i Linkin’Park.
Dietro la scrittura di Marta Leandra Mandelli si avverte una mente abituata, in primo luogo, a leggere e a leggere molto e con intelligenza (cosa ahimè rara quando abbiamo a che fare con un nuovo autore) o se preferisci con profondità di sentimento. Ma cosa legge l'autrice de L'orizzonte delle Dimensioni? Quali sono i suoi libri preferiti?
Amo leggere, fin da ragazzina. In particolare, scelgo tutto ciò che è suspense: fantasy, ma anche thriller o gialli. Più raramente letteratura mainstream. Diciamo che amo le storie di personaggi coraggiosi, anche a modo loro, che provano passione per la vita e per ciò che fanno. Mi coinvolgono protagonisti che prendono posizione, che scendono in campo determinati fino alla fine, ben descritti soprattutto nel loro modo di pensare. Mi piacciono gli autori che sanno trasmettere emozione, che sanno meravigliarmi con la loro creatività. Se dovessi scegliere un autore tra tutti, sarebbe sicuramente S. King, per la sua maestria nel dipingere l’animo umano e saper pizzicare quelle corde che vibrano con maggiore intensità. Di recente, ho letto e apprezzato L’atlante di smeraldo, Balthis l’avventuriera e La via dei re, tutti testi fantasy che mi sento di consigliare.
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